Al Crack! 2012 di Roma
2012

Con un po’ più di calma e riposo alle spalle, volevo scrivere qualche riga sui giorni trascorsi al Crack! festival 2012, a cui ho partecipato come Bloody Mary and the teapot assieme a Maria Giulia Colace…
Questa è la mia prima volta a Roma. Dopo un viaggio orribile, a merito ovviamente delle FS, Roma mi si è buttata addosso a peso morto, uno shock ma bellissimo fatto di proporzioni titaniche e tanto troppo sole.
Ma a Roma non ci sono come turista, e un paio di ore dopo sono già dentro al Forte Prenestino ad aspettare l’assegnazione di una cella.
Il Crack è un mondo a parte, sopratutto nelle ore di preparazione, quelle senza pubblico, in cui il forte pare una immensa comune dove c’è chi dorme, chi prende il sole, chi prosegue disegni giganteschi che c’è da credere non avranno mai una fine, si fanno pile di bicchieri di birra vuoti e si piantano centinaia di chiodi si srotolano centinaia di rotoli di nastro adesivo si diluiscono centinaia di barattoli di colore si trasportano nel sottosuolo centinaia di sporte borse valige rotoli scatole pacchi… C’è ogni tipo di taglio di capelli, ogni tipo di look, ogni tipo di cane, ogni tipo di tatuaggio, e c’è terra e polvere e mulinelli che ti sfiorano, e tutti parlano a mezza voce in un clima sospeso.
Siamo in quattrocento persone, un numero record rispetto alle passate edizione e un numero che stupisce un po’ tutti, un piccolo sottomondo che ad una certa ora viene stipato nelle celle sotterranee, celle che parlano lingue diverse celle decorate in mille varietà celle condivise fra artisti a volte inconciliabili.
A girarle la prima impressione è di una certa estetica postmodernista ed underground, e questo sembra un po’ il fil rouge di questo bazaar sottoterra, ma non si limita solo a questo naturalmente.
La nostra (sudata) cella è all’apertura, siamo i primi entrando, esattamente sopra la zona concerti. Il mio gruppo di compagni di cella è un bel gruppo, mi piace il clima che si instaura fin dalle prime ore. Siamo Maria Giulia Colace, Francesca Innocenzi, Sandro Moscogiuri ed io, e predisporre la cella è un divertimento ed anche una agonia, fra chiodi impossibili da piantare, tavoli presi di nascosto e rampicanti che diventano sostegni e legacci per le opere.
Finché le celle non vengono aperte al pubblico e nelle prime ore di apertura l’atmosfera è bella, molto più che giovale, si parla fra noi ci si racconta ci si chiede reciprocamente in prestito attrezzi vari, tu da dove vieni tu cosa fai, siamo tutti lì per lo stesso scopo e questo ci fa sentire molto vicini, la comunanza che c’è sotto si avverte e fa bene e fa capitare begli scambi di opinioni. Io gironzolo un po’ in preda al caos e mi addentro e mi fermo un po’ qui un po’ là ed incontro e rincontro un bel po’ di persone.
Anzitutto scopro che Bologna va per la maggiore e questo mi fa sentire un po’ a casa, ritrovando una fetta di Bilbolbul.
Rincontro la Lois, Fato Male e gli altri ragazzi di Lök, che mi parlano delle ultime mostre fatte, del Fruit a cui non sono riuscito a partecipare, del loro speciale Spazio appena uscito e mi danno anche qualche dritta sul mio Autoritratto con mostro (l’errore della carta lucida!).
Poi c’è Inuit con tutto il meglio dell’autoproduzione, da Kus! a Delebile, da UHT a Canicola, conosco Alessandro Palmacci che è una doppia faccia, dato che fa parte sia di Inuit che di La Trama, e gli racconto un po’ del mio progetto…
Ma poi c’è Tentacoli, Modo Infoshop, Guido Volpi, insomma Bologna è rappresentata più che bene direi.
La simpatica e brava Alia (Alice) invece c’è vicina di cella, ci si fa compagnia e ci si sposta continuamente da una all’altra per chiedere come vanno le vendite e portarsi reciprocamente una birra, e devo proprio ringraziarla per i passaggi alle quattro di mattino!
Poi c’è Eva Di Tullio di Ziguline che ogni tanto ci viene a trovare e ci invita a mangiare qualcosa nella loro cella e a prendere le ziguli’, invito che purtroppo per le mille traversie delle nottate non sono mai riuscito a soddisfare…
Nei miei giri conosco Moritz Stetter e Lukas, che vengono da Amburgo, rispolvero il mio inglese un po’ affaticato e mi faccio raccontare della loro graphic novel su Martin Lutero che faranno uscire a Maggio sotto il progetto Demotapecomix. Resto a guardare tutte le varietà di biglietti da visita dei ragazzi di Ver Eversum, resto incantato dai magnifici lavori di Inamorarti e mi faccio spiegare il progetto Print About Me. Mi trovo come cliente la bravissima Ilaria Meli, che cerco di spingere a partecipare l’anno prossimo, e assisto alla bella vendita di Bambi Kramer, che taglia i suoi originali, lunghi metri, vendendoli a centimetri a seconda della richiesta.
Poi succede che aprono le porte e tutto diventa diverso. Venerdì e Sabato sopratutto, dopo le dieci si riversa un fiume di gente, ingorghi cadute facce e vestiti rumori polvere che si alza fumo, stai lì nove ore con quattro di sonno a notte alle spalle, febbricitante a cercare di sopravvivere al caos, ad invogliare i passanti, a trovare modi per non addormentarti, a prenderti coi turni qualche minuto d’aria e birra in superficie.
Non ho mai visto tanta gente in vita mia, e ai miei occhi il tema di quest’anno, l’apocalisse, non può che essere rappresentato da tutta questa gente.
E’ stressante ed adrenalinico, ti fa girare la testa ma ti piace anche, in un modo strano, che ti accorgi poi quasi crea dipendenza.
Il Crack è un’esperienza limite, con cose magnifiche e piccoli inferni. Sono poche le mezze misure e il senso alla fine è che è giusto così, semplicemente, perché il Crack non è né più né meno di questo.
Mi dilungo un attimo, e voglio in questo modo ringraziare tutte le persone già citate, e aggiungere a queste anche Claudia Farallo, Aurora Buzzetti, Maria Piccolo, Diego, Veronica e Irene Sproccati, perché grazie a tutti loro ho passato una trasferta bella, intensa, bizzarra ed unica.
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